TESTI ANAGOGICI-EMILIO CIBOTTO

TESTI  ANAGOGICI-EMILIO CIBOTTO

TESTI ANAGOGICI

      Lascio ora parlare una paio di riflessioni anagogiche che ho condotto sue due famosissimi testi: il primo tratto dalla Divina Commedia di Dante Alighieri, il secondo dal Vangelo di Giovanni.


 

Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura che la diretta via era smarrita”

 

 

NEL (MEZZO) DEL CAMMIN DI (NOSTRA) VITA
Nel momento in cui, dopo uno shock più o meno intenso, ci interroghiamo sul senso della nostra esistenza, stabiliamo nella nostra vita un punto che definisce un prima e un dopo.
Prima eravamo identificati negli eventi accidentali esterni, agendo meccanicamente, in "presa diretta".
Dopo, ci troviamo in uno stato di coscienza che ci spinge a riflettere sul nostro agire.
È la seconda nascita.
Qui non c'entra l'età. Può accadere a 20, 30, 70 anni!

(MI) (RITROVAI)
Ritrovai me stesso. Si costituisce nella nostra persona un sistema osservante, un testimone, l' "io" essenziale, ed un sistema osservato, ovvero la nostra personalità costruita sulla base delle sovrastrutture socio-storico-culturali.
C'è adesso un io interiore che osserva ciò che gli altri hanno voluto che noi fossimo a partire da quando ci hanno chiamato Emilio, Marco, Giovanna, ect.
Si intravede la divisione, in noi stessi, tra essenza e personalità.

PER UNA SELVA (OSCURA)
Questa esperienza di dis-identificazione ci mostra un mondo radicalmente nuovo. Il bagliore della luce della coscienza ci mostra una paurosa oscurità. Vedo la falsità delle mie relazioni. I dubbi su chi sono realmente. I castelli dell'orgoglio e della vanità a cui mi aggrappo. Le mie fragilità. In questa selva siamo pionieri. Molti sono chiamati ad affrontare questa oscurità. Pochi si avventurano. Tanti indietreggiano.


CHE' LA DIRETTA (VIA) ERA (SMARRITA)
Tutto ciò per cui ho vissuto non mi rappresenta più. Non è mio. È frutto delle contingenze e di illusioni. Ora mi accorgo di avere una "psicologia". Devo muovermi con le mie gambe, attraverso la mia esperienza interiore. Devo attraversare il mio "inferno" se voglio trovare la mia via.


Adesso ho un metodo: posso cominciare ad osservarmi.
 

 

 

Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”

 

 

CONOSCERETE LA VERITA'
Sembra che in queste due paroline siano sottointese molte idee.

In primo luogo, declinando il verbo al futuro, Giovanni crede che noi non abbiamo ancora conosciuto la verità, non la conosciamo ora, ma forse la conosceremo.
Lui è fiducioso su questo.

In secondo luogo, egli ritiene che vi sia una verità che si può conoscere.

In terzo luogo, egli sembra dire che ogni eventuale verità di cui ci facciamo portatori non è la verità a cui lui pensa.


In quarto luogo, con la sua determinazione del suo imperativo categorico sembra ritenere che la sua è una verità oggettiva, che travalica tutto ciò che conosciamo.

In quinto e ultimo luogo, dice che la verità di cui parla riguarda l'uomo e la sua esperienza nel mondo presente e non quella di un al di là indefinito.

Forse, se quel Giovanni fosse qui oggi sarebbe pure d'accordo con l'idea costruttivista secondo cui la realtà è costruita soggettivamente. Forse direbbe che questa idea è già una buona idea e può essere utile a molte persone.


Tuttavia, un pò testardamente, penso cercherebbe di dare spazio al pensiero secondo cui ci può essere qualcosa di più. Per l'appunto una verità oggettiva che possa essere d'aiuto a chi cerca di dare un senso alla propria esistenza terrena, che non sia semplicemente meccanica e materiale.


Forse si rivolgerebbe a chi riconosce che la vita in sé un gran senso non ce l'ha.

Forse direbbe che per conoscere la verità di cui ci parla si dovrebbe essere presenti a se stessi. Coscienti di ciò che siamo al di là degli eventi esterni e contingenti.

Non identificati nel flusso della vita. Capaci di distinguere la nostra essenza dalla nostra personalità acquisita.

E LA VERITA' VI FARA' LIBERI

La verità di cui parla Giovanni è una verità svincolata dalla logica razionale di causa-effetto. E' una verità esoterica, che riguarda lo stato interiore dell'uomo, al di là dunque della sua dimensione fenomenica.

 Anche qui usa il verbo al futuro e dice che ci sarà spazio per poter essere liberi.

Forse è consapevole delle difficoltà necessarie per raggiungere questa libertà.

D'altra parte, affinché la sua ipotesi abbia un senso deve riferirsi sicuramente ad una qualche libertà realizzabile nella vita presente, altrimenti
si tratterebbe di una penosa illusione.

Come se si dicesse ad un carcerato di 30 anni: se ti comporti bene sarai libero tra 150 anni. Quello si mette a ridere, se non a piangere!!
Quindi se la verità renderà liberi, ciò significa, quantomeno, che per Giovanni adesso siamo in una prigione. Forse non fisica, sicuramente psicologica e spirituale.

Se non avesse paura di urtare la nostra sensibilità, forse Giovanni direbbe che siamo piuttosto addormentati e nel sonno crediamo di essere liberi, mentre invece ci muoviamo come delle marionette.


Ma, se c'è una possibilità di libertà, ciò significa che a poco a poco si possono rompere le catene che ci tengono imprigionati al flusso meccanico degli eventi della vita.

Se per noi ha un senso quello che dice Giovanni, benché i concetti di verità e libertà siano molto densi e complessi, possiamo almeno riconoscere di essere in prigione. Questa è già una cosa molto utile e importante. In tal caso si può scegliere di starci comodi e far passare il tempo alla bell'e meglio, oppure si può cercare di uscirne in qualche modo.


Le religioni hanno spostato un pò tutta la questione nell'aldilà. Da un punto di vista psicologico però è più utile guardare all' aldiqua.


E per uscire dalla prigione, nell'aldiqua, ci vuole qualche piccolo attrezzo per segare le sbarre o per scavare un cunicolo sotterraneo. Ci vuole, poi, qualcuno che ti aiuti dentro e qualcuno che ti aspetti fuori per riorganizzare la vita in libertà. Un po' di sostegno per recuperare la vista davanti al bagliore della luce. Qualche soldino e un po' di cibo.